Recensione del Dott Silvano Cavallet

 

Scrive dell’artista il Prof. Silvano Cavallet

Costa è un buon esempio di quanto acuto e lungimirante sia stato Gregor Johann Mendel – naturalista, matematico e monaco agostiniano ceco di lingua tedesca – considerato il precursore della moderna genetica per le sue osservazioni sui caratteri ereditari. Perché?

Perché Andrea – auronzano – si è scelto una madre pittrice e un padre scultore del legno per passione.

Genitori che gli hanno trasmesso – già in tenera età – l’interesse, prima, e l’amore, poi, per l’arte in genere.

Bancario e artista? Ma che sorpresa, signora mia! direbbe qualche bello spirito.

Ora, a parte che – parafrasando il titolo di un celebre musical – ‘anche i bancari hanno un’anima’, la verifica va fatta sul campo e non per preconcetti.

Qualche breve appunto, allora.

Dopo gli anni in cui ha recitato il ruolo del curioso visitatore di mostre e rassegne, a inizio secolo Andrea decide di fare il gran salto. E inizia, evidentemente sentendosi preparato, con l’olio su tela.

Che, è cosa nota, postula uno studio preliminare non certo banale sui colori e la loro interazione. Avete mai pensato a che cosa serve, per esempio, per dipingere la neve (bianco su bianco?)

Il passo successivo e stato quello che – con un gioco di parole – direi ‘olio&obiettivo’.

Un’interazione tra le due passioni – pittura e fotografia – che gli ha permesso di esplorare i temi legati alla forma, ai soggetti, alla composizione dell’immagine (regola aurea) e ai sapienti giochi di luce e ombra.

E, finalmente, l’arrivo all’acquarello. L’oggetto di questa mostra. Un passaggio, uno snodo importante perchè questa tecnica non permette correzioni in corso d’opera. Ciò che viene via via fissato sulla carta, è il risultato finale

Chi ha pochi, e bianchi, capelli come me ricorda certamente come, nei primi anni di scuola, proprio l’acquerello rappresentasse la sola forma di espressione. Non era un caso, naturalmente.

Quando la scuola – con il suo carico di nozioni e di schemi abbastanza rigidi, d’accordo – aveva anche tante qualità, pareva normale usare l’acquarello. Una forma che permette la trasmissione delle emozioni con un numero minore di intermediazioni tecniche.

Naturalmente, c’è un baratro che separa i tentativi dei giovani d’allora (quorum ego) con quanto Andrea oggi ci propone. Ma quel tratto distintivo dell’acquarello rimane lo stesso. Oggi come allora.

Quelle che oggi possiamo ammirare sono opere di un’immediatezza straordinaria. Possiedono un potere quasi magico: ci portano a vedere, a sentire, a gustare un’emozione, un sentimento, un palpito.

Che possono essere – che spesso sono, direi addirittura che devono essere – diversi da quelli che ha provato Andrea quando s’era messo davanti al foglio e al cavalletto.

Ma non è questo l’importante. Non dobbiamo (sarebbe un ben misero approccio) duplicare in noi quello che è stato il sentire di Andrea.

Piuttosto, scoprire che anche dentro di noi si nascondono pulsioni che, con un po’ d’attenzione, possono emergere, possono far capolino tra le urgenze del quotidiano. Insomma: determinare le condizioni in forza delle quali l’importanza finisca col prevalere sull’urgente.

Per tanti aspetti, l’acquarello è come la musica, la buona musica. E’ capace, infatti, di arrivare dritto al cuore.

Di aprire senza apparente fatica anche il forziere più ermetico.

Così, parafrasando una frase di Wolfgang Amadeus Mozart (Beethoven il più grande, Mozart unico) direi che Andrea – nei suoi acquarelli – cerca emozioni che si piacciano. E ce le propone con i colori.

Solo raramente s’intravede – meglio, s’intuisce – un leggero segno  preparatorio. Per il resto, c’è la diretta realizzazione dell’opera.

Qualche altra considerazione.

Le acque veneziane incontrano le rocce dolomitiche, è il titolo di questa rassegna.

Ora, anche astraendo da considerazioni geologiche (i Monti pallidi emersi dal mare per le spinte orogenetiche: di qui i fossili e le successive stratificazioni) le Dolomiti e Venezia hanno molti altri elementi di comunanza.

Uno, in particolare; che Andrea ha colto, mi pare, in modo preciso: la capacità, cioè, di suscitare profonde emozioni.

Una capacità che deriva dal fatto che, entrambe, possono contare su un bagaglio che è consonante.

Pensateci.

Uno scorcio della montagna fa sempre pensare in grande. Davanti a te si apre un mondo: una valle, un picco, una forra; una successione – variamente combinata – di vari elementi.

Elementi che ti fanno sentire piccolo, quasi inerme al cospetto di tanta maestosità.

E Venezia? Venezia ‘affacciata sul mare’ come canta in uno dei suoi più coinvolgenti ritratti, Francesco Guccini, non ha le stesse capacità?

La teoria delle gondole (rese con un digradare da definito a indefinito, delle quali intuisci persino il moto altalenante) non ti rimanda forse a spazi dilatati, quasi onirici?

Con un’aggiunta, certo.

Per noi montanari, adusi a mettere il piede sul ‘solido’, il mare (e tutto ciò che col mare ha diretta relazione, quindi anche Venezia) è mistero, avventura, sogno.

C’è un’opera che mi pare possa essere presa come icona di questo concetto. C’è Venezia, c’è il mare, c’è la gondola. Ma, guardandolo, si prova un senso di leggerezza. Ci si sente come sollevati e quasi alle prese  con qualcosa che fluttua. Ora, niente è più lontano dal mio pensione che indicare una delle palle di vetro che si vendono ai turisti; ma quella Venezia appare come inserita dentro una bolla, dentro una visione onirica, appunto.

Qualche nota sul colore; sui colori che Andrea utilizza. Nell’acquarello, forse più che in altre tecniche pittoriche, il colore assume una connotazione più immediata e diretta.  Come posso dire: mi pare che da ciascuna tinta scaturisca un messaggio diretto. Un messaggio che rimanda immediatamente al linguaggio delle percezioni emotive. Al punto che si possono leggere coppie di opposti: gioia/tristezza; solarità/introversione; condivisione/isolamento.

Magari nel realizzare l’opera, Andrea non ha percepito razionalmente queste sensazioni; ma le stesse sono passate direttamente dall’animo alla mano.

D’altra parte, nei miei rapporti con artisti diversi ho trovato una costante. Alla mia domanda ‘che cosa ti ha spinto a scegliere quel colore, quell’accostamento, quella figura, quello scorcio?’, la risposta è stata sempre la stessa ‘Non lo so. ADESSO non lo so’.

I temi. Ci sono poche figure umane. La presenza dell’uomo è mediata attraverso le sue opere. Le barche – in questa rassegna, tipicamente le gondole – e le case.  Case che mi sento di definire come permeate da un senso di ‘comunità’.

Qui, infatti, ho trovato due soli esempi (una baita e un villino sul Garda) di costruzioni isolate.

Il che mi porta a pensare che queste due opere siano un’eccezione. E che, per il resto, Andrea sia attratto dalla necessità di trasmettere l’idea che le case (forse una metafora per indicare gli esseri umani?) debbano comunicare tra di loro.

Debbano mantenere relazioni che – quanto più strette sono – tanto meglio diventano una risposta alle esigenze di tutti e di ciascuno.

Grazie.

Pieve d’Alpago, 17.12.2016